LA FRATTURA GENERAZIONALE
Ritengo che la sofferenza adolescenziale della società postmoderna si presenti sempre più nelle diverse forme delle patologie delle condotte agite a causa di una forma d'imbarbarimento sociale caratterizzata soprattutto dalla frattura generazionale. Le condotte agite (dalla dipendenza intesa come stile di vita, che include l'intenso uso di alcool e sostanze leggere, all'alta frequenza degli incidenti stradali fino alla violenza e alle condotte più autodistruttive: disturbi alimentari, cutting, scarificazione), denunciano un’evoluzione collettiva verso modelli relazionali primitivi. Modelli dove lo scambio fra le generazioni (sia in famiglia che a scuola) si è impoverito a tal punto da scomparire quasi del tutto.[1] I ragazzi si sono come rassegnati a fare a meno degli adulti e a rivolgersi esclusivamente ai coetanei come unici rappresentanti della comunità sociale, dando vita a forme di aggregazione che a volte, per i motivi che vedremo più avanti, sono organizzate intorno all'attacco all'adulto ed al suo mondo. I genitori spacciano tutto ciò per inserimento nella realtà sociale dei figli, negando la propria latitanza. Neanche la scuola riesce il più delle volte a compensare tale pericolosa frattura generazionale. La potenzialità dell’incontro educativo, che la scuola dovrebbe testimoniare, spesso viene sperperata da un rapporto insegnanti-alunni stereotipato, appiattito sui compiti dell’apprendimento, che denuncia la rinuncia a offrirsi come modello affettivo e culturale di riferimento. E così anche a scuola spesso si perde ogni dimensione effettiva dell’incontro educativo fra le generazioni. La messa in crisi dell’autorità genitoriale e di quella degli educatori di professione (gli insegnanti) produce una tale povertà degli strumenti di lettura della realtà sociale in possesso degli adolescenti da causare un totale e acritico adeguamento alle logiche dominanti della società mercificata. La net-generation è la prima generazione della storia dell’umanità alla quale viene chiesto di crescere da sola, seppur con l'ausilio di protesi tecnologiche. Il “carattere pubblico” (Bordi 2005) del funzionamento mentale assume sempre più peso nel corso della vita di ogni individuo, riducendo drasticamente la dimensione privata e segreta dell'essere, quella in cui creativimente si svolge il processo di soggettivazione. In adolescenza tale spinta sociale verso la dimensione pubblica dell'esistenza (continuamente esposta nella vetrina dei social network) può determinare diverse forme di alienazione del sé. E' forte la spinta ad assumere precocemente un’identità adulta, senza realizzare le esperienze necessarie per svolgere in maniera completa il lavoro dell’adolescenza: quello creativo di invenzione del Sè (Gutton 2008) nonché quello faticoso di appropriazione del proprio funzionamento psichico, definito soggettivazione (Cahn 1998). Il prolungamento della fase dell’adolescenza che caratterizza le ultime generazioni sembra produrre un’adolescentizzazione della società, che collude profondamente con alcuni tratti negativi dell’adolescenza (l’onnipotenza, la trasgressione, l’idealizzazione, il narcisismo, l’agito maniacale). Ritengo utile riferirci a tal proposito al noto concetto di “Disagio della civiltà” di Freud (1929), relativo a quel processo che permette alla civiltà umana di svilupparsi attraverso restrizioni alla libido ed all’aggressività, che richiedono che si paghi un prezzo, quello del disagio. A proposito delle “patologie civili” credo che possiamo riferirci anche a qualcosa di opposto, relativo al prezzo che paga l'umanità quando non accetta di fare quelle rinunce. Possiamo dire, parafrasando Freud, che il Disagio della Civiltà del secolo scorso che produceva nevrosi è stato sostituito nell'epoca postmoderna dal Disagio dell'Inciviltà che produce prevalentemente patologie narcisistiche. Con “patologie civili”, quindi, intendo tutto ciò che attacca nei gruppi affettivi e socio culturali l'unione, l’armonia, la solidarietà, la coesione e la convivenza civile.
LE PATOLOGIE CIVILI
E’ osservazione comune che una serie di compiti evolutivi che ogni individuo dovrebbe svolgere nel corso della propria esistenza per il raggiungimento dell’identità matura, siano sempre più diffusamente disattesi o svolti in maniera insoddisfacente. Uno dei motivi più frequenti perché si realizzi tale fallimento è l’impossibilità in adolescenza di accedere all’esperienza dell'Altro, rappresentato non solo dall'adulto, come dicevo prima, ma anche dal gruppo dei pari. Sappiamo che in adolescenza lo svolgimento dei compiti evolutivi è fortemente favorito dal poter fare l’esperienza vivificante di appartenenza ad un gruppo di coetanei[2]. Quando l’adolescente non può realizzare l'esperienza gruppale, il raggiungimento della maturità è fortemente compromesso. L'esperienza del gruppo non può essere nemmeno surrogata dai social network (face book, twitter o watsup). Essi decisamente aiutano a contrastare l'isolamento dell'adolescente, ma non costituiscono una reale alternativa al piccolo gruppo affettivo con il quale condividere “dal vivo” la fatica di crescere. Di conseguenza, soprattuto quando il processo di soggettivazione è ostacolato dal peso di traumi infantili, da storie di deprivazioni e disconoscimenti, l'adolescente rischia di isolarsi o di rimanere imbrigliato in una forma primitiva di gruppalità, quella del “branco”.
Intendo per “branco” non solo le aggregazioni gruppali adolescenziali dedite ai reati contro la persona o il patrimonio, che riempiono le cronache dei giornali, ma anche tutte le organizzazioni gruppali (sia adolescenziali che di adulti) che hanno un funzionamento primitivo, che cioè funzionano in termini di “massa anonima e dunque irresponsabile” (Freud 1921, p. 264), priva di ogni progetto di crescita, centrate sul soddisfacimento immediato. Queste sono piccole bande (annidiate nelle istituzioni, così come disseminate nel territorio) alla balia di spinte pulsionali individuali incontrollate e di fantasie inconsce condivise, spesso molto patologiche: fantasie di tipo narcisistico-onnipotente, o di tipo isterico, o di tipo maniaco-depressivo. Mi riferisco, inoltre, a tutte quelle aggregazioni, capeggiate da eterni Narciso ed eterni Icaro, che attivamente favoriscono nei propri adepti il disimpegno morale nei confronti delle loro azioni ed il totale misconoscimento dell'Altro. Un funzionamento che nega la socialità intesa come funzione pluralista del Sé e del gruppo.
Emilio, che ho in analisi dall'età di 17 anni, mi ha offerto una delle descrizioni più efficaci della funzione del branco. In prima adolescenza frequentava un gruppo antisociale, fortemente deviante e a volte anche violento, con il quale sentiva di condividere la sofferenza ed il rifiuto per la vita. Quando riuscì a parlare in analisi (molto tempo più tardi) di questa sua lunga esperienza antisociale, la descrisse così: “La faccia contratta dei ragazzi violenti era per me come un contenitore somatico. Ce l'avevo anch'io, poi mi si è svuotato nel mio cervello (ebbe a 18 anni un break down evolutivo). Guardarsi intorno, strizzare le sopracciglia è come una protezione. Quando uno non ce l'ha più diventa vulnerabile e l'angoscia circola dentro la tua testa: per questo dopo il crollo mi sono venute le fisse. E' come se adesso dovessi stare più dentro di me. Il ricordo di questo mio vecchio sistema di contenimento mi fa venire l'angoscia”. E così in assenza di sistemi di contenimento familiare e sociale gli adolescenti deprivati si rivolgono al branco, sparpagliando sul palcoscenico pubblico la loro sofferenza privata. Questa è una delle forme di attacco ai sistemi di convivenza civile, che in adolescenza si espime prevalentemente attraverso il teppismo, il razzismo, il vandalismo, mentre per agli adulti prende le forme istituzionalizzate della razzìa delle risorse pubbliche, della corruzione e dello strapotere della finanza su ogni altro interesse.
Il concetto di “patologia civile” l'ho mutuato da un incontro di supervisione nel 2000 con Novelletto: eravamo con l'èquipe di un Centro di Aggregazione Giovanile[3] e Novelletto propose questo concetto per aiutarci a comprendere le profonde trasformazioni delle patologie adolescenziali che si presentano all’osservazione clinica. In particolare avevamo osservato che quando il gruppo di adolescenti si lascia sottomettere alla logica del branco si smarriscono le principali funzioni gruppali: normativa, differenziante, maturativa ed elasticizzante del funzionamento mentale. La vignetta che segue è relativa ad un piccolo branco, capeggiato da Top, con Judo e Ruggine in posizione di gregari, che da alcuni mesi frequentava il CAG unendosi non senza conflitti con il gruppo dei ragazzi già presenti.
E' lunedì e i ragazzi sono tutti agitati per quanto è successo nel week-end. Gli educatori comprendono attraverso i loro racconti confusi che la maggiornaza del gruppo è molto arrabbiata con alcuni elementi del gruppo. Sembra che nell'uscita di sabato i ragazzi del CAG avessero di comune accordo deciso di andare a fare un giro al centro di Roma, ma senza dare spiegazioni Top, subito seguito da Judo e Ruggine, non solo ha cambiato idea per tormarsene a casa a vedere una DVD, ma di fronte alla decisione della maggiornaza del gruppo guidata da Luna di proseguire verso il centro, ha cominciato a tempestarli di telefonate ingiuriose. Lunedì gli insultati pretendono di chiarire la situazione. Quando cominciano la riunione chiedono agli educatori di uscire dalla stanza. Spiegheranno poi questa loro richiesta con la motivazione che volevano essere: "più liberi di potersi scannare fra di loro, perché se deve scorrere il sangue è meglio che voi non ci siete, altrimenti cercate di calmarci". La riunione, sabotata in partenza da Top, degenera negli insulti, ai quali seguono gli abbandoni di Luna e di Judo, rispettivamente per rabbia e per noia, e poi di tutti gli altri. Molti escono nel cortile antistante il centro con la sensazione di essere tutti contro tutti, ognuno allo sbaraglio. Tra i restanti infuria la battaglia: gli offesi chiedono soddisfazione, gli altri, con Ruggine portavoce, dichiarano che Top è arrabbiato particolarmente perché Luna sarebbe stata sgarbata. Top è solito a “fughe” dal gruppo, ma questa volta c'è qualcosa di nuovo, che forse è all'origine del casus belli, almeno secondo quanto Luna si premura di confidare ad un educatore dopo la riunione. Nella chiacchierata la ragazza rivela che pochissimi giorni addietro aveva rifiutato di trasformare il rapporto di amicizia che si era creato con Top in una relazione sentimentale. Questo perché Top ha fama di essere uno che seduce per poi abbandonare. L'incontro fra Top e Luna doveva sancire il definitivo passaggio dal branco al gruppo. Top poteva accettare il baratto: perdere la leadership del branco per conquistare Luna. Di fronte al rifiuto di Luna, si scatena la sua rabbia e ritorna al suo vecchio ruolo.
Quest’episodio descrive la modalità scissa con cui questo gruppo di ragazzi e di educatori affrontano il tema della separazione. Nell'incontro citato Novelletto propose una riflessione sul funzionamento del gruppo dei ragazzi e su quello degli operatori: “Esiste, affermò Novelletto, un modo civile e costruttivo di crescita nel separarsi. Questa separazione la chiamiamo emancipazione perché non c’è più la mano del genitore che ti tiene: ti stacchi e vai per la tua strada. Questa è una separazione buona, evolutiva. Ma la ‘scissione’ è un altro tipo di separazione. (…). Ricorda il colpo di stato, in cui una minoranza pretende di ribaltare l’equilibrio e la gerarchia che fino a quel momento vigeva nel gruppo, di assumerne la conduzione, il comando, il potere. La scissione è la modalità di separazione proposta da questi tre ragazzi.” (Novelletto, 2003, pag. 106).
IL PICCOLO GRUPPO COME ANTIDOTO DELLE PATOLOGIE CIVILI
Poiché l’adolescenza è il momento evolutivo in cui il processo di soggettivazione trova il suo più intenso momento di realizzazione, l’esperienza del gruppo acquisisce comprensibilmente un ruolo centrale. Per esperienza di gruppo s’intende tanto quella inerente al gruppo interno familiare, che quella del gruppo esterno dei pari in cui il gruppo interno può essere fantasmatizzato.[4] Tutto ciò, dunque, si verifica in un luogo terzo, il gruppo dei pari unito al gruppo interno, vivificato dall’intensità pulsionale del pubertario. [5]Il gruppo “s’istituisce come soluzione radicale rispetto alla separatezza e alla solitudine” (Pietropolli Charmet, 2000, pag. 239). Il processo decisionale del gruppo non può, infatti, essere saturato o monopolizzato dalla presa di posizione unilaterale di un leader o di una componente minoritaria. Addirittura neanche da una componente maggioritaria, perché il gruppo è organizzato per non lasciare nessuno fuori. Di fronte all’ attacco del branco all’equilibrio del gruppo, acquista un ruolo significativo il comportamento degli adulti. A tal proposito è importante che il gruppo educativo si sappia proteggere dall’impatto con personalità troppo disturbate[6],
UN SETTING PSICOANALITICO PER LE “PATOLOGIE CIVILI” DEGLI ADOLESCENTI
Organizzare una risposta competente ed efficace alle “patologie civili” è la sfida che dovrebbe arruolare la capacità degli adulti di riorganizzare la speranza degli adolescenti deprivati e disperati per non poter realizzare il processo di soggettivazione. Ritengo che la differenza principale fra gruppo e branco sia la seguente: il primo è organizzato per condividere il dolore della crescita, mentre il secondo è organizzato per condividere la disperazione e la rabbia per il fallimento del proprio progetto evolutivo. Per tale motivo mi sembra necessario promuovere negli ambienti educativi l'esperienza autentica del gruppo all’ombra di una nuova alleanza fra cultura educativa e psicoanalisi dell’adolescenza. L’aiuto degli educatori psicoanaliticamente orientati può consentire agli adolescenti con patologie della condotta di utilizzare l'ambiente educativo per fare l’esperienza del gruppo e riuscire così ad accedere a forme di funzionamento mentale più evolute, propedeutiche all'accesso a forme di aiuto avanzate come l'analisi. Con gli adolescenti deprivati e traumatizzati, che esprimono il loro disagio attraverso le condotte agite e che hanno organizzato un disturbo narcisitico, ho sperimentato a lungo l'efficacia di uno specifico setting, il setting psicodinamico multiplo (Biondo 2008). Esso è caratterizzato da una molteplicità di interventi (psicodinamica di gruppo, sportello psicologico, accompagnamento individualizzato, gruppo esperenziale, analisi personale per i ragazzi, supervisione psicodinamica e mediazione interistituzionale per gli operatori). Per rispondere alle situazioni multiproblematiche degli adolescenti al limite, occorre offrire risposte complesse.[7]
Il setting psicodinamico multiplo con il gruppo negli ambienti educativi (scuola, centro di aggregazione, comunità di tipo familiare) prevede oltre allo svolgimento delle consuete attività socializzanti, educative o aggregative, anche l'intenso confronto generazionale di tipo evolutivo per promuovere le funzioni mentali più evolute (il pensiero, la riflessione, il rispecchiamento, l'attribuzione di senso all'azione). Tale setting è psicodinamico perché struttura all'interno degli ambienti educativi uno spazio gruppale di supervisione per comprendere la relazione transfero-controtransferale che si realizza fra l’educatore e il gruppo (sia di adolescenti che di colleghi).[8] Permettere agli operatori di fare “Esperienza nei gruppi” (Bion) offre loro l'occasione di fare un'esperienza psicoanalitica, che li sensibilizza sulla dimensione profonda della relazione educativa e contemporaneamente sul proprio funzionamento inconscio in relazione con i ragazzi e con i colleghi. Mi sono reso conto che questo tipo di setting permette di organizzare all'interno di questi ambienti un sistema di gestione del dolore (Lupinacci 2012) per le difficoltà a crescere dei ragazzi, senza il quale facilmente anche il gruppo degli operatori si lascia prendere dalla rabbia e dalla disperazione. A tal proposito ricordo un episodio di un'équipe di una casa famiglia per adolescenti problematici, che aveva raggiunto livelli di intimità e di alleanza molto profondi, grazie a molti anni di lavoro psicoanalitico sulle proprie dinamiche gruppali.
In quel periodo da diversi mesi assistevamo a delle difficoltà sia nei ragazzi che nell'équipe: la sensazione generale era che diversi ragazzi fossero bloccati nel loro percorso di crescita e nel raggiungimento degli obiettivi educativi, tanto da produrre degli agiti violenti all'interno del gruppo, e che anche gli educatori si sentissero poco coesi e scontenti. Il lavoro in supervisione permise di collegare la situazione di blocco alle angosce di separazione del gruppo degli educatori correlate all'annuncio di Sonia, un'operatrice storica che avrebbe lasciato la comunità (poichè aspettava un bambino). Sonia durante la supervisione raccontò al gruppo questo sogno: “Avevo le chiavi della comunità, cercavo di aprire la porta, ma non si apriva. Ho pensato: 'eppure sono queste le chiavi!'”. Le associazioni del gruppo al sogno della collega evidenziarono il fatto che era presente in molti una forte angoscia di perdita e di cambiamento connessa alla riorganizzazione dell'équipe per la fuoriuscita dell'operatrice. La casa famiglia ospita solo ragazzi maschi e Sonia era la garante principale del funzionamento femminile dell'équipe, visto che un'altra operatrice storica era andata via l'anno precedente. La diffidenza del gruppo verso le nuove potenziali educatrici era molto forte. Sonia aveva profondamente avvertito questo disagio del gruppo, rappresentando, con la porta bloccata del sogno, sia la difficoltà del gruppo di aprirsi al nuovo che il suo sentirsi non accolta nel suo personale progetto evolutivo. E così anche il progetto evolutivo dei ragazzi ospiti della casa famiglia si era bloccato!
Possiamo così osservare come il gruppo di operatori di un ambiente educativo che ha analizzato a lungo la dimensione inconscia del proprio funzionamento gruppale e difeso il proprio funzionamento interno psichico, possa contare sulle proprie capacità di cura. Ci vuole un po' di fede per credere in questo. Sappiamo che ogni volta che l'analista o gli operatori perdono questa fede il lavoro di cura è destinato a fallire e si rischia di soffrire, perché i ragazzi lo sentono e ce la fanno pagare. E' facile che ciò succeda quando siamo costretti a lavorare sotto un violento attacco alle nostre capacità di pensare, o quando si è costretti a lavorare, come avviene per molti operatori sociali, in condizioni di cronica emergenza, di precariato economico, di indifferenza istituzionale, di frammentazione degli interventi di rete. Ma possimo contare sul fatto che questa fede nell'uomo e nelle sue capacità di prendersi cura del proprio dolore non smetta mai di esistere. La testimonia la vicenda di Giovanni[9]: un ragazzo dedito ad un intenso uso di sostanze e di alcool, che ha frequentato il CAG di cui parlavo dall'età di 16 anni, fino a decidersi, dopo tre anni in cui ne ha combinate di tutti i colori provocando gli operatori all'inverosimile, ad avviare un'analisi. Sono stati necessari numerosi anni di frequentazione del centro prima e di collaborazione fra analista e operatori del centro dopo (in un gioco di triangolazione che il ragazzo aveva bisogno di fare), per riuscire a stabilizzare la capacità di questo ragazzo, ormai giovane adulto, di usufruire in maniera proficua dell'analisi. Occorreva che Giovanni potesse trovare dentro di sè un tempo per il dolore (Cancrini 2002) perchè il processo di soggettivazione potesse svolgersi, ed assumersi finalmente la gestione del proprio dolore, senza l'uso analgesico delle sostanze. Il raggiungimento di questo difficile obiettivo è testimoniato dal sogno che Giovanni ha portato alla sua analista dopo 4 anni di lavoro con lei: “Sento un bambino che piange. Lo cerco, cerco di capire da dove arrivi quel pianto. Ad un certo punto vedo una culla, cerco di mettermi dentro ma non c’entro, é troppo stretta. Allora prendo il bambino in braccio e inizio a cullarlo. Il bambino si calma, il bambino sono io”. Ecco una di quelle goccie di splendore (Fabrizio de Andrè) così necessarie per andare avanti nel nostro lavoro.
Bibliografia
Baldini T (2007), Che fine fanno gli adolescenti <difficili> quando diventano giovani adulti? Adolescenza e Psicoanalisi, II, 2, 121-133
Baruch G. (2001), Community based psychoterapy, Brunner-Routhledge, Hove.
Biondo D. (2008). Fare gruppo con gli adolescenti. Milano: Franco Angeli.
Biondo D., Patti M., Ocone D. (2007), Quando il gruppo educativo si fa terapeutico. Adolescenza e Psicoanalisi, II,1, 155-173
Bordi S. (2005), Rileggendo oggi <<Il disagio della civiltà>>, Psiche, XIII, 2, 105-113, il Saggiatore.
Cahn R., (1998), L’adolescente nella psicoanalisi, Borla 2000.
Cancrini T., (2002), Un tempo per il dolore. Torino: Bollati Boringhieri.
Freud S. (1921), Psicologia delle masse e analisi dell'Io. In Opere. IX. Torino: Boringhieri.
Freud S. (1929), Il disagio della civiltà. In Opere complete, vol X. Torino: Boringhieri.
Gutton Ph. (2008). Il genio adolescente. Roma: Magi edizioni.
Jeammet Ph. (1992), Psicopatologia dell'adolescenza. Roma: Borla.
Lupinacci M.A. (2012), L'esperienza del soffrire il dolore. Dalle prime esperienze dolorose viste nella osservazione della relazione madre bambino verso la clinica. In Cancrini T., Biondo D. (2012), Una Ferita all’Origine. Roma: Borla.
Novelletto A. (2003), Commento. In: Biondo D., Tini F. (a cura di), 285 nodi per crescere. Istruzioni per l’uso. Roma: Editori Riuniti.
Pietropolli Charmet G. (2000), I nuovi adolescenti, Cortina, Milano.
1 Non c'è più scambio in famiglia perché come ci segnalano le statistiche e gli studi sociologici, sono sempre di più le ore che l'adolescente, ma anche il preadolescente, trascorre da solo in casa senza i genitori, impegnati nel lavoro. Anche quando i genitori sono in casa la dipendenza dalla rete e dai social network (tanto dei figli che dei genitori) è così intensa da spegnere il dialogo.
2 La funzione del gruppo è di aiutare l’adolescente a definire i propri valori, garantirgli l’elaborazione di un progetto futuro, fornirgli una prospettiva evolutiva della propria esistenza, aiutarlo a conquistare visibilità sociale e contrattualità nel sottoscrivere vincoli e legami, sostenerlo nel processo di separazione dai genitori (reali ed interni), permettergli d’inserirsi in una cultura generazionale (Pietropolli Charmet 2000).
3 Dirigo questo CAG da quindici anni. Esso è situato in un quartiere periferico della nostra città. Eravamo all'esordio del suo funzionamento e le supervisioni di Novelletto ci permisero di far evolvere il servizio fino a conquistare un modello psicoanalitico di lavoro con il branco adolescenziale che utilizza l'ambiente educativo come ambiente di cura delle patologie della condotta.
4 Nell’adolescenza si ripresenta, dice Winnicott: “Tutta la sperimentazione e le alleanze incrociate apparse creativamente nel gioco della famiglia”.
5 Applicando il noto concetto di Jeammet (1992) di “spazio psichico allargato” alla dimensione gruppale, possiamo dire che nel gruppo l’adolescente trova la possibilità di realizzare uno dei compiti evolutivi principali dell’adolescenza: quello di realizzare la diffrazione dei propri investimenti emotivi, prima concentrati principalmente sulle figure genitoriali, e quello di sperimentare nuovi legami in cui proiettare aspetti importanti di sé. Il gruppo, dunque, costituisce il miglior teatro del Sé multiplo adolescenziale.
6 Novelletto afferma a tal proposito: “è importante che un gruppo di educatori sappia valutare qual è il limite entro il quale sente di poter svolgere un’azione utile col gruppo con cui si trova a lavorare e qual è il limite che se superato rischia, invece, di portare una catastrofe” (Novelletto 2003, pag. 107).
7 Le ricerche internazionali (Baruch 2001) sulla validità e l’efficacia degli interventi psicologici per la prevenzione ed il trattamento dei comportamenti antisociali degli adolescenti confermano quest’osservazione. In uno studio catmnestico sui 9000 ragazzi al limite accolti in comunità di tipo familiare realizzato da Baldini (2007) si documentano risultati positivi nel 78% dei casi, laddove i ragazzi sono stati seguiti molto precocemente e più a lungo (anche oltre la maggiore età) da interventi multipli di tipo psicosociale e psicodinamici.
8 Gli aspetti relativi al funzionamento gruppale in termini di “gruppo di lavoro” alla flessibilità e alla conseguente resistenza dello spazio educativo, alla difesa da parte degli adulti della sopravvivenza di uno spazio per pensare, sono i tre aspetti fondamentali di questo setting.
9 Il caso di Giovanni è stato pubblicato in: Biondo et al. (2007).
Lavoro presentato al Centro di Psicoanalisi Romano il 22/02/2014 nell'ambito della Conferenza "Psicoanalisi e Società: Le nuove identità"